Sui social e soprattutto su LinkedIn si trovano numerosissimi post e contenuti di candidati che si lamentano del trattamento ricevuto da parte di recruiter (interni alle aziende o esterni) durante i processi di selezione.
Spesso i toni sono molto accesi e vengono evidenziati comportamenti particolarmente rozzi, meno di frequente si leggono analisi costruttive e propositive volte a mirare la relazione.
Proviamo in questo articolo (il primo di due) ad elencare quali sono secondo noi i comportamenti e le prassi che possono inasprire il rapporto tra candidati e recruiter, in modo da fornire degli spunti a chi si occupa di fare selezione per migliorare il proprio approccio professionale.
Pubblicare un brutto annuncio
Molto spesso, anche se non sempre, ad una selezione aperta corrisponde la pubblicazione di un annuncio. Nella maggior parte dei casi si pubblica un'inserzione come prima azione del processo di recruiting.
Gli annunci possono funzionare come uno strumento di marketing e spesso e volentieri raccontano moltissimo di chi li sta pubblicando.
Ci sono differenze ovviamente se si tratti di una Società di selezione o un’azienda, e a seconda della tipologia di contesto, ruolo ricercato e target è possibile essere più o meno originali.
Tuttavia al di là della forma che si vuole dare ci sono alcune regole fondamentali e di sostanza da rispettare affinchè siano per lo meno efficaci:
dare informazioni chiare e puntuali rispetto al ruolo ed ai requisiti richiesti: a colpo d’occhio si deve capire cosa si sta cercando;
utilizzare un gergo tecnico appropriato in modo da far comprendere agli interlocutori che chi lo pubblica (e che presumibilmente si occuperà almeno del primo screening) abbia esattamente compreso di cosa si stia parlando;
fornire anche nel caso di pubblicazioni in anonimo quante più informazioni possibili che consentano alle persone di identificare il contesto aziendale.
A queste regole ne aggiungiamo una che dovrebbe essere di buon senso e condivisa da tutti, oltre che rispettosa della legge, ovvero evitare in qualsiasi modo ogni forma di discriminazione implicita o palese.
Form di candidatura infiniti
Dopo aver candidato un bell’annuncio, completo e corretto è il momento di ricevere le candidature.
Chi si candida si aspetta una modalità semplice ed immediata per inviare il proprio CV, mentre spesso si scontra con un gestionale HR che richiede la compilazione di infiniti campi in cui sostanzialmente ripetere le informazioni già riportate sul Curriculum.
La Candidate Experience inizia proprio qui, e ripensare a quanto sia articolato e dispendioso il metodo che hai impostato per raccogliere le candidature può essere funzionale a non scoraggiare i candidati armati di meno pazienza (o tempo) di altri.
Fare pressione sui candidati passivi
Quando oltre a - o invece di - pubblicare un annuncio si preferisce una modalità di ricerca attiva/head hunting, ovvero di contatto diretto tramite LinkedIn o altri canali, sarebbe una buona abitudine ricordare un elemento fondamentale: stiamo coinvolgendo una persona che non sappiamo se sia attivamente alla ricerca di un cambiamento. Per questa ragione, oltre che per buona educazione, sarebbe opportuno porsi con un atteggiamento quanto più possibile gentile, disponibile, e trasparente.
Bisognerebbe quindi evitare di:
chiedere informazioni dettagliate e sensibili (per esempio la retribuzione) senza aver prima raccontato nel dettaglio l’opportunità che si sta gestendo e fornito tutte le informazioni necessarie al candidato per fare una prima valutazione rispetto all’interesse nei confronti di ciò che stiamo proponendo;
chiedere di inviare il CV a scatola chiusa, come sopra;
chiedere disponibilità per i colloqui in orari incompatibili e non mostrare flessibilità rispetto alle esigenze della persona.
Non essere presenti su LinkedIn
Abbiamo scritto il nostro annuncio, abbiamo iniziato a contattare candidati passivi, magari proprio utilizzando LinkedIn, ma la nostra pagina aziendale non esiste, oppure è incompleta o sostanzialmente inattiva.
Ecco un ottimo modo per scoraggiare i candidati più intraprendenti, che cercheranno probabilmente informazioni su di noi e non troveranno nulla tramite questo canale, non riuscendo quindi a farsi un’idea almeno iniziale immediata e completa.
Pretendere senza dare
E’ il momento di iniziare ad incontrare i candidati che abbiamo individuato: chiederemo loro di raccontarci nel dettaglio le loro esperienze, cercheremo di testare le skills tecniche e relazionali, talvolta vorremo un approfondimento della loro situazione personale, sonderemo la motivazione al cambiamento e chiederemo dettagli in merito alla parte economica.
Ma che cosa daremo in cambio? Chi entra in un processo di recruiting si mette in gioco e a disposizione del recruiter, e a volte invece chi selezione non presta attenzione a dare in cambio una visione dell’azienda completa, non solo da un punto di vista organizzativo ma anche valoriale.
Non c’è nulla di peggio dell’affermazione: “Cerchiamo persone motivate ad entrare in questa azienda” per partito preso, se non accompagnata dal chiarimento dei motivi per cui la tua azienda (o quella per cui stai conducendo la selezione) potrebbe essere attrattiva, per cui i valori potrebbero essere condivisi e per cui la collaborazione potrebbe essere di reciproca soddisfazione.
Soprattutto con figure professionali rare e particolarmente richieste dal mercato questo punto può essere molto importante. Un atteggiamento che non tenga conto del fatto che spesso (e sempre di più) le persone cercano nel lavoro un progetto in cui identificarsi e non solo uno stipendio senz’altro non funziona.
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